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Se vogliamo bene a qualcuno, preparare una buona cena è un modo splendido per dirglielo_Cannavacciuolo

I POP-CORN: UNA VERA E PROPRIA ESPLOSIONE DI GUSTO E DIVERTIMENTO

25/1/2020

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FotoPop-corn, solo 375 KCal per 100 g di prodotto.
Chi di voi non è mai stato tentato dai pop-corn? Simbolo per eccellenza di divertenti serate al cinema, spesso vengono preparati anche in casa e vederli scoppiare fa sempre sorridere creando subito un'atmosfera rilassata e giocosa.
Dolci o salati, creano una vera e propria dipendenza! Scopriamo qualcosa in più su questi gustosi e divertenti protagonisti del nostro tempo libero nel post di oggi. 
Origine dei pop-corn
Tutti sappiamo che i pop-corn non sono altro che chicchi di mais che, sottoposti a una forte fonte di calore, esplodono a causa dell’espansione dell’umidità interna.
Ma chi ha pensato per la prima volta di farli scoppiare? Bene, i primi sono stati i popoli dell'America Centrale, Indiani, Inca e Maya. I pop-corn più antichi in assoluto, infatti, sono stati ritrovati nelle aree corrispondenti all'attuale Perù e allo Utah, negli Stati Uniti, e risalgono a mille anni fa.
Quando gli esploratori giunsero dal Vecchio Continente conobbero il mais e scoprirono anche l'uso alternativo che gli indigenti ne facevano: scaldandolo e provocandone l'esplosione davano origine a questa curiosa variante, ottima come cibo, ma utilizzata spesso anche come elemento decorativo e come elemento ben augurante nel corso delle cerimonie religiose. 
Come si preparano in casa?
Niente di più semplice e di più divertente! Io ho un ricordo, rimasto indelebile, di mia zia che aveva acquistato la macchina per fare i pop-corn di Topolino! Mio cugino più piccolo impazziva di felicità quando la tirava fuori per prepararli e anch'io. E' certamente bella e divertente, ma non è affatto necessaria. Basta avere infatti una padella antiaderente. L'esperienza sarà forse meno entusiasmante, ma la magia rimane la stessa.
Ciò che occorre è quanto segue:
  • padella antiaderente con coperchio (assolutamente necessario altrimenti i vostri pop-corn esploderanno ovunque!)
  • la quantità di mais che vi occorre in base alla quantità che desiderate preparare
  • olio di semi di girasole (ne basta poco! 2/3 cucchiai per ogni padellata)
  • sale fino
Prendete la vostra padella antiaderente e aggiungete i 2 / 3 cucchiai di olio di semi di girasole. Mettetela sul fornello a fuoco basso e aggiungete un pugno di chicchi di mais. Coprire subito con il coperchio. Comincerete a sentire un delizioso scoppiettio, significa ovviamente che il mais sta cominciando a cambiare aspetto. Per evitare che i pop-corn si brucino, muovete la padella ogni tanto, senza però mai togliere il coperchio! Per la cottura basteranno 2 minuti circa.
Quando lo scoppiettio sarà terminato, togliete la padella dal fuoco e mettete i pop-corn, caldissimi e profumatissimi, in una ciotola.
Salate a piacere et voilà, procedete con la prossima cottura! 
Solo 375 KCal per 100 g di prodotto! 
Variante dolce: pop-corn al cioccolato
A quanto scritto sopra, togliete l'aggiunta del sale. Basterà poi far sciogliere pezzettoni di cioccolato fondente a bagnomaria e aggiungere un po' di latte in modo che il cioccolato non risulti eccessivamente denso. Disponete i pop-corn su una teglia coperta con carta forno e cospargeteli col cioccolato. Poi metteteli una decina di minuti in frigorifero. Et voilà! Pronti anche nella variante dolce.
(dosi consigliate per 250 g di mais: 80 g di cioccolato fondente per 90 ml di latte) 
E poi, largo alla fantasia, sia per eventuali altre soluzioni dolce e salate, sia su come presentarli ai vostri bambini o ai vostri ospiti!

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PESCHERIE RIUNITE, PER SENTIRE IL MARE ANCHE A MILANO

10/1/2020

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FotoLa scelta in pescheria: il primo step della cena.
Abbiamo scoperto pochi giorni fa un posticino molto carino dove gustare in semplicità del buon pesce. Si tratta di Pescherie Riunite in Via Carlo Botta, 4 a Milano (quartiere di Porta Romana) e adesso vi raccontiamo la nostra esperienza molto positiva in questo locale a metà strada tra la pescheria e il ristorante.
A Milano, quando si tratta di cercare un posto dove andare a mangiare, c'è davvero l'imbarazzo della scelta. Dalla cucina regionale italiana a quella etnica, si può accontentare veramente chiunque. Certo per le tasche non è sempre una gioia, anzi. Non è però il caso del posto di cui vi parliamo oggi. Da Pescherie Riunite si mangia bene, si spende veramente il giusto e si torna a casa con il ricordo di una bella esperienza. 
Noi eravamo in quattro, siamo arrivati verso le 20.15 e la situazione era molto tranquilla. Alcuni tavoli già occupati, niente coda. Una informazione importante: da Pescherie Riunite non si può prenotare. L'unica eccezione viene fatta per i gruppi dalle dieci persone in su; in quel caso si può contattare la responsabile dei gruppi, della quale c'è il contatto sul sito www.pescherieriunite.it/ e scegliere cosa mangiare dal menu dedicato appunto ai gruppi numerosi.
Appena arrivati si ha proprio la sensazione di essere in una pescheria: pesce esposto sul banco e... a voi la scelta! Potete scegliere il tipo di pesce che preferite da farvi cuocere come volete sul momento, oppure potete optare per i piatti dal menu. Se scegliete di farvelo cuocere sul momento, il prezzo ovviamente andrà in base al peso del pescato. 
Fatto questo, si passa alla cassa, dove potete scegliere cosa bere, pagare e accomodarvi nella saletta, ampia e ordinata, dal gusto marinaro. 
Nelle foto qui sotto alcuni dei piatti che abbiamo preso noi: spiedini di gamberi sgusciati alla griglia, hamburger con alici impanate e fritte, caponata di melanzane e ricotta al limone, poi spadellata di polpo con cipolle e topinambur.  Abbiamo accompagnato il tutto con una mezza bottiglia di falanghina. 
Pescherie Riunite è un posto che ci sentiamo di promuovere a pieni voti per la velocità e la gentilezza nel servizio, per la qualità della materia prima e il gusto che si trova nei piatti e per l'atmosfera che si respira. Anche il portafoglio, trattandosi di piatti a base di pesce in centro a Milano, ringrazia. ​
ORARI DI APERTURA:
dal Martedì al Giovedì         12.00-15.00 / 19.00-22.30
Venerdì e Sabato                  12.00-15.00 / 19.00-23.00
Domenica                              12.00-15.00 / 19.00-22.30
CHIUSO IL LUNEDI’
Gli orari indicati sopra si riferiscono alle Pescherie Riunite di Via Carlo Botta n° 4, quello che abbiamo sperimentato noi. Pescherie Riunite è presente anche in altre due sedi: Corso Colombo n° 11 e Piazza Santa Maria del Suffragio n° 2. Per gli orari e altre info si rimanda al sito segnalato nel post.

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Ristorante EMBARCADERO A SALERNO, COME ESSERE SU UNA NAVE IN MEZZO AL MARE...in centro città

4/1/2020

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FotoLa vista mare dal nostro tavolo
Abbiamo inaugurato il 2020 con un pranzo vista mare. Il cielo azzurrissimo, il sole splendente e la temperatura mite sono stati l'invito perfetto per sperimentare l'Embarcadero, ristorante di pesce e bar a Salerno, riaperto da qualche mese con una nuova gestione e un nuovo look.
Vi raccontiamo la nostra esperienza qui.

L'Embarcadero a Salerno, sul Lungomare Trieste, è uno storico locale della città. Caratterizzato da una bellissima terrazza, si adagia sul mare regalando ai suoi ospiti la sensazione di essere su una nave. Abbiamo pranzato qui il 2 gennaio. Eravamo in quattro e ci siamo presentati alle 14.15 senza prenotazione nella speranza che, vista l'ora, fosse possibile trovare comunque un tavolo.
Il cameriere che ci ha accolto è stato gentilissimo e dopo una breve attesa ci ha fatto accomodare a un bel tavolo, ovviamente vista mare.
Su quattro, abbiamo scelto tre primi, solo uno di noi ha scelto una insalata tiepida di pesce (tiepida, non fredda, c'è una bella differenza).
Il menù è ricco, ovviamente la parte più interessante è quella dedicata ai piatti a base di pesce, addirittura c'è una pagina dedicata alle sole specialità a base di baccalà. Anche chi non ama il pesce, però, può trovare un buon piatto, il menù prevede una breve sezione dedicata al Menù di terra.
I prezzi li vedrete solo sul menù esposto all'esterno del locale, proprio all'ingresso, non li ritroverete in quello offerto al tavolo. Nessuna sorpresa comunque, già prima di entrare si sa che non si sta per entrare in una trattoria con cibo buono e prezzi bassi, ma in un ristorante che gode di una posizione privilegiata e che, forte anche di questo, propone piatti molto curati nella presentazione, ricercati nei sapori e con prezzi che possiamo considerare alti per la media in città.
I piatti scelti da noi sono: Bottoni ripieni di patate e baccalà con crema di zucca e caviale di aceto balsamico; Ravioli con ripieno agli scampi, asparagi e mandorle salate; Linguine aglio olio e peperoncino tartare di gambero rosso e fonduta di parmigiano; Insalatina di mare tiepida con verdurine croccanti.
Abbiamo accompagnato il pranzo con una deliziosa Falanghina al calice.
Per chiudere i dolci: Babà rivisitato con crema al limone profumato al basilico; Tortino al cioccolato e mandarino. Entrambi molto buoni, menzione speciale va però al tortino, davvero squisito e indovinato l'abbinamento con il mandarino che regala grande freschezza.
Immancabile una foto sulla terrazza!
Embarcadero non è solo ristorante, ma anche caffetteria, cocktail bar e luogo ideale per brunch e aperitivi, al chiuso o meglio ancora in terrazza. Torneremo sicuramente alla prossima visita in città.

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I mostaccioli: origine e caratteristiche dei dolci al cioccolato tipici del Natale

21/12/2019

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Tra le specialità dolciarie del Natale troviamo i mostaccioli, tipici della tradizione gastronomica napoletana e poi diffusi su tutto il territorio nazionale. Scopriamone storia e curiosità.
Mano mano che ci avvicinavamo al Natale, abbiamo approfondito alcuni dolci tipici delle feste. Abbiamo infatti già parlato della storia del panettone e di quella del pandoro, oggi invece ci spostiamo al Sud Italia alla scoperta del mostacciolo. In Campania, in particolare, infatti, non c'è tavola natalizia che non includa tra i dolci anche questi gustosi prodotti da forno o da pasticceria al cioccolato (ben accompagnati anche da roccocò e struffoli). Il mostacciolo è un dolce che nasce dalla tradizione dolciaria di Napoli (dove vengono chiamati anche "mustacciuoli") e che sono ben riconoscibili data la loro tipica forma romboidale e la copertura con glassa al cioccolato (quasi sempre fondente).

L'origine dei mostaccioli
Il nome ha una derivazione latina, dal termine mosto, "mostum", ingrediente utilizzato in passato nelle ricette culinarie ma ancora oggi rintracciabile in alcune ricette più tradizionali e casalinghe del dolce. L'origine del mostacciolo si può far risalire già ai tempi di Catone, che in "De agri cultura" parlava di piccoli dolci chiamati "mustacei" a base di anice, mosto e farina, quindi molto aromatizzati.
In epoca tardo-medievale troviamo invece i "mostazoli", biscotti a base di mosto cotto. La versione napoletana di questo biscotto, però, sembra proprio prendere piede senza mosto, discostandosi quindi dalla sua stessa etimologia.
Nel Cinquecento due ricette di mostaccioli sono citate nelle sue opere da Bartolomeo Scappi, cuoco delle cucine vaticane con papa Pio IV e papa Pio V. Scappi li chiama piccoli pasticci secchi e afferma che possono essere serviti anche in apertura di pranzi particolarmente opulenti.

Caratteristiche dei mostaccioli
Di forma romboidale, sono grandi circa 12 centimetri, ma si trovano anche nella versione mignon. All'interno sono caratterizzati da una pasta morbida dal sapore di miele e frutta candita, e sono ricoperti di glassa al cioccolato (nella stragrande maggioranza fondente, ma non mancano le versioni di cioccolato al latte, bianco o verdi al gusto di pistacchio). La loro diffusione è relativa in particolar modo alla regione Campania e al Sud Italia, ma ormai sono ampiamente diffusi anche nel resto del Paese. I mostaccioli sono dolci molto "resistenti" e si mantengono molto bene per diversi giorni con l'accortezza di chiudere con una pellicola il piatto o il vassoio in cui sono presenti (e ovviamente, per via del cioccolato, di conservarli lontano da fonti di calore).

Abbinamenti
I mostaccioli sono perfetti se mangiati a fine pasto accompagnati da un vino dolce, da una grappa, ma ancor meglio da un liquore alle erbe. Tipici della regione Campania, il liquore Strega, di Benevento, oppure l'Anthemis, dei monaci benedettini di Montevergine (Avellino). Sempre piacevole l'abbinamento con il liquore al finocchietto.

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Com'è nato il pandoro, dolce tipico del Natale?

14/12/2019

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Chi ha inventato il pandoro? Com'è nato uno dei dolci simbolo delle festività natalizie? Ecco origine e curiosità.
Insieme al panettone detiene il primato del dolce più tipico del Natale. Con la sua tipica forma di stella, alto e pieno di zucchero a velo, nella versione più classica oppure rivisitato: il pandoro ha una storia interessante e curiosa che non tutti conoscono.

Perchè il pandoro si chiama così?
Iniziamo dalla curiosità legata al nome. La leggenda più accreditata spiega che il nome derivi dal grido di stupore di un aiutante della pasticceria dove era nato vedendo il colore dell'impasto del dolce, così simile all'oro. Chiamato poi in dialetto veneto "pan de oro".

Qual è l'origine del pandoro?
L'origine del pandoro è legata alla città di Verona. Le prime tracce risalgono al periodo della Repubblica Veneziana, intorno al 1500. Ma c'è anche una corrente che ritiene, invece, che il pandoro nasca come evoluzione di altri dolci. C'è chi sostiene che sia una derivazione del veronese Nadalin (ugualmente a forma di stella), altri che sia una rielaborazione del  Pane di Vienna, un pane dolce simile alla brioche, di provenienza asburgica.

Chi ha inventato il pandoro?
La  nascita ufficiale e commerciale del pandoro di Verona ha una data esatta: martedì 14 ottobre 1884. Quel giorno il pasticcere veronese Domenico Melegatti presentò il brevetto di un dolce natalizio al Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia. A lui si deve ufficialmente l'invenzione del pandoro veronese. Per la sua ricetta, Melegatti si ispirò a una antica tradizione veronese. Durante la sera della vigilia di Natale, le donne dei villaggi usavano riunirsi per impastare il cosiddetto Levà, un dolce ricoperto da granella di zucchero e di mandorle. L’inventore del pandoro prese la ricetta del Levà, eliminando la copertura, la quale poteva ostacolare la lievitazione, e aggiungendo uova e burro allo scopo di rendere molto soffice l'impasto. Per quanto riguarda la forma di stella, invece, si deve ad Angelo Dall’Oca Bianca, pittore impressionista di origine veronese, che disegnò lo stampo a piramide tronca e otto punte che contraddistingue il dolce.

Curiosità della "sfida delle mille lire" di Melegatti
Il successo del pandoro fu immediato. Il dolce fu in breve tempo apprezzatissimo e tanti cercavano di riprodurlo nella propria versione o di imitarlo fedelmente. Domenico Melegatti mise in palio "mille lire", al tempo una cifra non da poco, per chi avesse riprodotto alla perfezione la ricetta del mitico pandoro. Purtroppo, però, nessuno riuscì mai a superare la prova.

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COM'È NATO IL PANETTONE, DOLCE DI NATALE PER ECCELLENZA?

30/11/2019

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FotoPanettone con gocce di cioccolato, il nostro preferito!
Dicembre è ormai davvero dietro l'angolo. Nonostante i supermercati ci propongano panettoni e pandori già da oltre un mese, è con dicembre, e in particolare con la festa dell'Immacolata dell'8, che si entra a pieno titolo in atmosfera natalizia. Adesso sì, possiamo cominciare a gustarci un bel panettone! Uvetta, canditi, gocce di cioccolato, scorze d'arancia, ce n'è per tutti i gusti, ma qual è la storia di questo dolce della tradizione natalizia?

Le leggende legate all'origine del panettone

Ci sono diverse storie, più o meno di fantasia, questo non possiamo dirlo, che ci parlano di come abbia avuto origine il panettone. Una cosa però è certa: il panettone è nato a Milano ed è in questa città che si è affermato prima di diffondersi e diventare dolce natalizio nazionale.
Ma torniamo alle leggende... le più famose sono due: la prima ci riporta alla Corte degli Sforza, da Ludovico il Moro, durante una Vigilia medievale... pare che il capocuoco, un po' distratto, fece bruciare il dolce destinato al banchetto ducale. A mettere una toppa intervenne Toni, umile aiutante della brigata, che sacrificò il panetto di lievito madre che aveva conservato per il suo Natale. Cominciò a impastarlo a più riprese... farina, uova, zucchero, uvetta, canditi... il risultato fu un impasto estremamente soffice e molto lievitato che, una volta cotto e portato in tavola fu un enorme successo. Fu Ludovico il Moro in persona a battezzarlo "Pan de Toni" in onore al suo inventore, l'umile, generosissimo, talentuoso Toni. 
La seconda leggenda è invece più romantica: l'origine del panettone sarebbe infatti legata alla storia d'amore di Ughetto degli Atellani, giovane nobile della Milano quattrocentesca, falconiere del granduca Ludovico il Moro, per Algisa, la figlia di un fornaio. Secondo la leggenda, visto che il forno del padre di Algisa non navigava in buone acque, Ughetto intervenne per aiutarli. Prima, sotto mentite spoglie, si fece assumere come garzone e in seguito vendette i preziosissimi falconi del Granduca per comprare burro, miele e uva sultanina con cui preparò un nuovissimo prodotto col quale provare a far ripartire gli affari. In effetti il tentativo non fu vano! Il Granduca assaggiò il "Panettone" e il successo fu così grande che perdonò a Ughetto il furto dei falconi, ma soprattutto l'amore di Ughetto e Algisa potè uscire allo scoperto, nonostante i due giovani fossero di estrazione sociale diversa.
Queste leggende sarebbero nate alla fine dell'Ottocento per promuovere maggiormente il panettone. Anche i nomi dei protagonisti infatti non sono casuali. Ughetto, per esempio, è legato al vocabolo milanese ughett che in italiano significa uvetta, uno degli ingredienti nobili tradizionali di questo dolce.

La vera origine della tradizione del Panettone a Natale
Risale comunque al Medioevo la tradizione di mangiare a Natale un pane che fosse più pregiato di quello consumato quotidianamente. 
Un manoscritto dell'epoca di Giorgio Valagussa, precettore di casa Sforza, riporta l'abitudine ducale di celebrare il cosiddetto "rito del ciocco". Il rito aveva luogo la sera della Vigilia e consisteva nel porre nel camino un grosso ciocco di legno e, mentre questo bruciava, nel portare in tavola tre grandi pani di frumento, materia prima per l’epoca di gran pregio. Il capofamiglia ne serviva una fetta a tutti i commensali conservando l'ultima per le celebrazioni dell'anno successivo, in segno di buon augurio e continuità. Si trattava a tutti gli effetti di una sorta di rievocazione dell'Ultima Cena. 
Nel 1606, secondo il primo dizionario milanese-italiano (Varon milanes), il Panaton de Danedà era un Pan grosso, qual si suole fare il giorno di Natale, per Metafora un’inetto [sic], infingardo, da poco.
Una descrizione più dettagliata ce la dà Francesco Cherubini nel suo Vocabolario milanese-italiano:
"Il Panattón o Panatton de Natal come una Spe[cie] di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina (ughett) o sultana, che intersecato a mandorla quando è pasta, cotto che sia risulta a molti cornetti. Grande e di una o più libbre sogliamo farlo solo a Natale; di pari o simil pasta ma in panellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamiamo Panattonin – Nel contado invece il Panatton suole esser di farina di grano turco e regalato di spicchi di mele e di chicchi d’uva."

Come mai il Panettone ha questa forma?
Quanto alla sua forma, inizialmente il Panettone era semplicemente un grosso pane. Non subiva lievitazione e non aveva lo scopo di essere servito come dessert.
Fu Angelo Motta, il fondatore della omonima casa dolciaria, che avviò la produzione industriale del panettone conferendogli anche la forma attuale più diffusa, quella cilindrica e alta, fasciando l’impasto con carta sottile in modo da farlo crescere verticalmente. 
Oggi, a Milano in particolare, sono ancora molte la pasticcerie storiche che propongono il panettone tradizionale milanese, più basso di quello industriale e fedele alla ricetta storica. 
Da quelli più tradizionali a quelli più innovativi, ce n'è davvero per tutti i gusti!

San Biagio e la tradizione milanese di mangiare il panettone avanzato
A Milano si dice che San Bias el benediss la gola e el nas. Da qui l'usanza di mangiare il 3 febbraio, giorno dedicato a San Biagio, un pezzetto di panettone avanzato, nella speranza che il santo possa allontanare malanni di stagione come raffreddore e mal di gola.
A legare San Biagio a questo rito è il miracolo che vede protagonista il santo. San Biagio infatti avrebbe salvato la vita a un bambino proprio dandogli del pane. 
Da vera tradizione, il panettone andrebbe fatto benedire prima di essere consumato.

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Calendari dell'Avvento 2019 da gustare: i più belli per amanti della cioccolata, di tè, infusi, e birra

23/11/2019

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Quali sono i Calendari dell'Avvento con sorprese tutte da gustare, ideali per una piacevole pausa invernale? Ecco alcuni di quelli più amati a tema cioccolata e selezioni di tè e infusi, e birra.
Abbiamo già parlato dei calendari dell'Avvento a tema Beauty, dalle confezioni eleganti e ricercate nel design per amanti di cosmesi, profumi e cura del corpo. Parliamo ora di quelli che invece risultano perfetti per veri golosi (a tema cioccolata) e per gli appassionati di infusi, tisane, tè nei più svariati gusti. Un'idea regalo per aspettare il Natale che per questo 2019 è possibile rintracciare in diverse aziende, che hanno voluto proporre le proprie selezioni, una per ogni giorno del mese fino al 24 dicembre.

Calendario dell'Avvento Milka
Uno scatolo in cartone nel tipico colore viola, con 24 caselline da aprire, al cui interno è possibile trovare 24 gustose sorprese assortite della Milka. Per un totale di 200 g e a un prezzo modico, è ideale per gli amanti del cioccolato al latte e indicato anche per i più piccini.

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@milka
Calendario dell'Avvento Kinder
Nella stessa direzione del precedente si muove anche Ferrero con il suo marchio Kinder, tanto amato dai bambini (ma non solo). A un prezzo molto conveniente, il Calendario dell'Avvento Kinder contiene 24 dolci sorprese assortite tra Kinder Cereali Mini, Kinder Cioccolato Mini, Kinder Cioccolato figure e Kinder Bueno Mini.
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@kinderferrero
Calendario dell'Avvento M&M's & Friends
Alcuni degli snack preferiti in formato ridotto: aprendo ogni giorno una casella di cartone, si potrà assaporare la dolcezza delle 24 sorprese. Il calendario dell'Avvento contiene nello specifico M&M's peanut, choco, Mars, Snickers, Bounty e Twix. Prezzo sempre al di sotto dei 15 euro.
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@m&m's&friends
Calendario dell'Avvento Lindt
Di fascia di poco più alta, il calendario dell'Avvento della Lindt. Stesso formato, con scatola di forma rettangolare in cartone con 24 caselle apribili, questo prodotto contiene un assortimento di mini figure al cioccolato al latte di renne dorate, Babbi Natale, cioccolatini di forma rettangolare con disegno di alberello, e due gusti di Lindor, il classico rosso e quello bianco.
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@lindt
Calendario dell'Avvento Ikea
Forse qualcuno non se lo aspettava, ma anche la nota azienda svedese ha prodotto il suo calendario dell'Avvento. Scatolo molto semplice e lineare, con colorazioni bianche, rosse e blu, contiene un assortimento di 24 cioccolatini. In ogni calendario si trovano due buoni d’acquisto Ikea: il primo del valore di 5 euro, il secondo con un valore minimo di 5 euro ma,​ con un po’ di fortuna, può valere fino a 1000 euro.
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@ikea
Calendario dell'Avvento Pompadour
Per gli amanti degli infusi, il calendario dell'Avvento Pompadour ne contiene 24 selezionati a base di frutta, erbe e spezie. Acquistabile online sul sito ufficiale del marchio, il calendario è stato realizzato con i disegni dei bimbi sostenuti da SOS Villaggi dei Bambini (www.sositalia.it), organizzazione che si impegna a sostenere bambini e ragazzi che non possono contare sulla presenza della loro famiglia.
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@pompadour
Calendario dell'Avvento Demmers Teehaus
Si acquista online e costa poco meno di 40 euro il calendario dell'Avvento Demmers Teehaus. Per veri intenditori di tè, ce ne sono 24 tra le diverse specialità: tè nero, verde, fruttato e infusi alle erbe molto aromatici. Un viaggio tra i sapori e le sensazioni olfattive dal mondo. La grafica, su sfondo bianco, presenta per ogni giorno una teiera con forma e colore diversi.
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@demmersteehaus
Calendario dell'Avvento Theresianer
Per gli amanti della birra, a un costo di poco meno di 70 euro, il nuovo calendario dell'Avvento firmato Theresianer comprende le birre del marchio in formato 0.33 l e numerosi gadget. In vendita sul sito ufficiale del marchio triestino oppure su Amazon. Un'idea regalo di sicuro molto originale.
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CLIVATI 1969, 50 ANNI DI PASTICCERIA ITALIANA A MILANO

16/11/2019

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FotoLa nostra deliziosa pausa da Clivati 1969_Viale Coni Zugna, 57 a Milano
Abbiamo scoperto solo oggi, nel corso della settimana dedicata ai festeggiamenti per i suoi cinquant'anni di attività, una deliziosa e storica pasticceria milanese. Si chiama Clivati 1969, si trova in Viale Coni Zugna (zona Navigli) e adesso vi raccontiamo la nostra esperienza tra le sue mongolfiere blu. 

L'abbiamo incrociata per caso. Ci eravamo appena detti: andiamo a casa e prepariamo una bella moka! Non avevamo tanta voglia dell'espresso da bar, ma poi siamo stati letteralmente catturati dalle sue vetrine e dagli arredi e la voglia di caffè e pasticcini si è fatta quasi incontrollabile.
Ci sono state tre cose che ci hanno colpito immediatamente: il bancone di legno e marmo che accoglie all'ingresso, come un'isola sulla quale approdare, una vetrina piena di bottiglie di Vermuth tutte in fila con le loro belle etichette, ma soprattutto, le mongolfiere che riempiono le pareti. Non c'è che dire, Clivati 1969 è un posto invitante e accogliente, dove si respira ancora l'atmosfera della pasticceria storica, ma con raffinati tocchi contemporanei. 
Noi ci siamo limitati a un buon caffè accompagnato da pasticceria mignon (una mini cheesecake e due bignè, uno al cioccolato e uno allo zabaione, tutti molto buoni), ma da Clivati è possibile fare colazione e pranzo, trascorrere l'ora del tè fino all'aperitivo che, il mercoledì e il venerdì, si sorseggia al ritmo della musica jazz live.  E via andare, facendosi trasportare come da una mongolfiera in posti lontanissimi...

La storia di Clivati 1969: come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri
La bellezza del locale e il fatto di aver scoperto che sia qui da ben cinquant'anni ci ha spinto a indagare un po' la sua storia e le sue origini. 
Abbiamo scoperto che Clivati, nata appunto nel 1969, prese il posto di un'altra piccola pasticceria preesistente. Il fondatore fu Angelo Clivati, del quale oggi conserva ancora il nome nonostante nel 2007 sia passata al timone la famiglia Giampietro. Era più piccola di come appare oggi. 
Negli anni Clivati 1969 ha aumentato non soltanto la propria superficie ma anche la propria offerta. La cosa che ci ha colpito molto è stata che, come una fenice, Clivati 1969 abbia trovato la forza di rinnovarsi e arricchire la propria offerta proprio dopo un brutto incendio che la colpì nella notte di Natale del 2016. In poco più di un anno, risorta dalle proprie ceneri, è tornata più bella, più aggiornata e più ricca di prima. 

Cosa puoi trovare da Clivati 1969?

La pasticceria fresca, i biscotti, le creme spalmabili e le marmellate, i panettoni e le colombe restano il fiore all'occhiello e il core business, ma oggi Clivati, che è aperta dalle 7 del mattino fino alle 22.30, no stop, non è soltanto pasticceria artigianale di qualità e caffetteria, ma anche torrefazione e vermuteria (40 e più le etichette italiane di Vermuth a disposizione dei clienti!).
Inoltre, a tutti i servizi offerti nella bella sede di Viale Coni Zugna, sono stati affiancati la creazione di una app per smartphone e tablet e una piattaforma di e-commerce per allargare i confini e aumentare la diffusione del brand.

CONTATTI
Viale Coni Zugna, 57
20144 Milano
Tel: +39 02 8322591
Email: info@pasticceriaclivati.it
Orari di apertura:
Dal Lunedì alla Domenica 7.00 - 22.30
Clivati 1969 è anche su Instagram @clivati_1969 e su Facebook @pasticceriaclivati 

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Da Pescara con gusto: Il Parrozzo. storia e curiosità del dolce tipico abruzzese decantato da d'Annunzio

9/11/2019

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Fatto con mandorle e cioccolato, con una ricetta della tradizione che si tramanda da anni, scopriamo il Parrozzo, una delle specialità della gastronomia abruzzese.
Ci è giunto in dono proprio oggi dai nostri zii. Coincidenza perfetta, dal momento che il post del sabato lo dedichiamo alla rubrica del cibo. Non è una novità, abbiamo mangiato il Parrozzo abruzzese già diverse volte, e ne siamo ghiotte. Si tratta di un dolce dal sapore delicato, soffice, profumato, armonioso nel gusto, ideale per il periodo autunnale e invernale. Non a caso si associa alla tradizione gastronomica del Natale. Ma perfetto per tutti i periodi dell'anno. Appena giunto, il tempo di fare una foto, e già ne è stata tagliata la prima fetta...e poi un'altra ancora...
Storia del Parrozzo
È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c'avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce… e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…”. Gabriele D' Annunzio
Il parrozzo nasce a Pescara nel 1920, a opera del pasticciere Luigi D'Amico. L'idea originaria fu quella di realizzare un dolce che potesse ricordare un pane rustico (detto "Pane rozzo", da cui poi "Panrozzo" e "Parrozzo"). La forma era quella di una pagnotta semisferica e riprendeva le sembianze del pane povero preparato dai contadini utilizzando il granoturco, per questo dal colore giallo intenso. D'Amico utilizzò le uova per riprodurre la tipica colorazione, aggiungendo all'impasto mandorle e farina. Il colore bruno tipico della bruciatura della crosta del pane cotto nel forno a legna fu invece riprodotto ricoprendo la semisfera con una colata di cioccolato. Il primo assaggiatore fu niente di meno che Gabriele d'Annunzio, che ne decise il nome, e al quale dolce dedicò un madrigale intitolato "La canzone del parrozzo".

L'azienda Luigi D'Amico a Pescara
Il Parrozzo rappresenta il prodotto di spicco dell’azienda Luigi D'Amico di Pescara, e il suo marchio è registrato sin dal 1926 e simbolo della tradizione dolciaria abruzzese. La Ditta Luigi D’Amico nasce nella metà del secolo XIX nell’antico centro storico di C.so Manthonè. L’azienda si dedica alla vendita di prodotti alimentari e non; tra i primi il vino, le granaglie in genere e i pesci salati. Luigi D’Amico, continuando l’attività commerciale del padre Biagio, si indirizza prevalentemente sui prodotti alimentari e apre il Bar Caffè denominato “Il ritrovo del Parozzo”, con cui inizia la produzione del tipico dolce. L’attività produttiva del Parrozzo subisce gli avvenimenti legati alla Seconda Guerra Mondiale: la distruzione della sede dell’azienda e il fermo dell’attività. La ripresa è lenta: nel 1954 Luigi D’Amico muore e la proprietà passa alla figlia Teresa. Verso la fine degli anni settanta, entra in azienda il dr Pierluigi Francini, figlio di Teresa D’Amico e del professor Giuseppe Francini, e si inizia una modernissima linea per il confezionamento in atmosfera controllata. Ciò ha consentito di portare la conservazione del Parrozzo da un mese a sette mesi. Da qui una più capillare diffusione in Italia e nel mondo.

Ricetta del Parrozzo
Il Parrozzo è un prodotto da forno non lievitato. Si ottiene con semolino o farina gialla, mandorle tritate, essenza di mandorla amara, zucchero, buccia di arancia o buccia di limone ed è ricoperto da cioccolato fondente belga di alta qualità. L'impasto ottenuto si versa in uno stampo semisferico di alluminio e si cuoce in forno. Quando si raffredda, si provvede alla golosa copertura.

Come gustare il Parrozzo?
Questo dolce si presta a tanti consumi, e per la sua delicatezza incontra i gusti più disparati. Ideale per la prima colazione, accompagnato da una bevanda calda, come un tè, un orzo, un caffè, e dopo pasto con un vino dolce e aromatico o un liquore (Moscato, liquori agrumati, Contreau, Granmargner).
Dalla confezione, consigli per l'uso: per tagliare in maniera ottimale il dolce, si consiglia di utilizzare un coltello con seghetto e riscaldato. Servire a temperatura ambiente.

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DAL CILENTO A MILANO: LA PIZZA LEGGERA E GUSTOSA SI TROVA DA ZERO

2/11/2019

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FotoVista sull'ingresso dal piano soppalcato_DaZero in Via dell'Orso, 4 a Brera.
Se state cercando una pizza leggera e gustosa fatta con materie prime selezionate e autentiche, sappiamo cosa consigliarvi. Abbiamo provato proprio ieri, grazie a una cara amica, DaZero_pizza e territorio, in una delle due sedi di Milano, precisamente quella che si trova a Brera, in Via dell'Orso, 4. 

Il progetto

DaZero nasce dall'idea di tre ragazzi cilentani (Paolo De Simone, Giuseppe Boccia e Carmine Mainenti) appassionati di cucina che nel 2014 hanno deciso unire le forze e le rispettive esperienze per dare vita a un progetto che potesse raccontare il loro territorio d'origine, il Cilento, attraverso una delle sue ricchezze più grandi: il patrimonio gastronomico. È così che cinque anni fa il desiderio di far conoscere una pizza d'eccellenza fatta con prodotti tipici di qualità attentamente selezionati e presidi Slow Food diventa realtà. Veniamo alle materie prime: provengono tutte da filiera corta; il grano utilizzato per le farine, per esempio, ingrediente fondamentale per la preparazione delle pizze, è tutto coltivato in loco. Tra l'altro DaZero sono stati i primi a utilizzare una particolare mozzarella tipica della zona e poco conosciuta nel resto d'Italia, "mozzarella nella mortella". Si tratta di un prodotto dalla storia molto antica che prende il nome dal mirto, nelle cui foglie gli allevatori avvolgevano le mozzarelle per trasportarle. Ecco che la pizza DaZero parla davvero la lingua del suo Territorio, diffonde i colori, i sapori e i profumi della Costa Cilentana.

La nostra esperienza DaZero
Prima cosa su tutte: PRENOTATE! Quando siamo arrivati ieri, per la prima volta, siamo rimasti piuttosto colpiti dalla coda all'ingresso, ma per fortuna la nostra amica, cilentana nonché affezionata cliente, aveva prenotato. Nonostante ciò, abbiamo atteso una ventina di minuti prima di accomodarci al tavolo.
Abbiamo iniziato con un antipasto, Viaggio nel Cilento, un'ottima scelta per assaporare la molteplicità di sapori tipici di quella terra. La proposta non è sempre identica, dipende dalla disponibilità della materia prima, ma il viaggio tra i sapori del Cilento è sempre garantito. Noi ieri abbiamo trovato la mitica pizza fritta preparata con il cacioricotta di capra cilentana (presidio slow food), dell'ottimo prosciutto crudo, del caciocavallo non stagionato, carciofi bianchi di Pertosa, peperoni gustosissimi e verza con olive salella ammaccate.
Veniamo alle pizze. Sul nostro tavolo avevamo: Pizza dell'Alleanza, Fior di formaggi, Crudaiola e Primula Palinuri, ultima novità proposta nel menù pensata come dedica alla terra cilentana per celebrare i 5 anni di DaZero (con pesto di rucola, mozzarella d bufala, cacioricotta di capra cilentana, pomodorino giallo, basilico e olio evo). In generale, oltre alle proposte classiche c'è davvero una grande varietà di pizze uniche e tutte molto invitanti.
Per concludere, abbiamo preso un cannolo cilentano (ripieno di crema gialla) a testa per accompagnare un buon caffè. 
Unica pecca nel servizio: non siamo stati informati, quando abbiamo ordinato, dell'assenza di uno degli ingredienti più particolari proposti, la mozzarella nella mortella di cui sopra. Ecco, dal nostro punto di vista, se manca un ingrediente così importante e così caratterizzante (e può capitare che finisca, ci mancherebbe), i clienti andrebbero informati della cosa al momento dell'ordinazione.

Detto questo, il servizio è in generale migliorabile, ma si mangia così bene che la nostra esperienza rimane molto positiva e ci sentiamo di promuovere a pieni voti DaZero per la qualità della materia prima scelta e per come viene elaborata nel piatto.

Contatti di tutte le sedi:
Vallo della Lucania: via A. Rubino, 1/13 | lun-sab 12:30-15:00 tutte le sere 19:30-00:00 
Tel. 0974 717387 

Torino: via S. Domenico, 33 | tutti i giorni 12:30-14:30 19.00-00.00 
Tel. 011 18923652 

Milano: via Bernardino Luini, 9 | tutti i giorni 12.30-14:30 19:00-00:00
Tel. 02 83529189

Milano: via dell’Orso ,4 | tutti i giorni 12:30-14:30 19.00-00.00
Tel. 02 83419934 

Matera: via Madonna delle Virtù, 12 | gio - dom 12:30-15:00
tutte le sere 19:30 - 00:00 | Tel. 0835 1652369

info@cominciadazero.com | dazero@arubapec.it

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CAPESANTE GRATINATE PROFUMATE AL BASILICO PER UN ANTIPASTO O UN APERITIVO RAPIDO MA D'EFFETTO

26/10/2019

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FotoCapasanta gratinata al profumo di basilico
Non so se sia mai capitato anche a voi, ma a me è successo spesso di fissare le capesante al banco del pesce fresco e chiedermi: ma come si cucineranno mai? Sarà difficile... ma poi sazieranno? Bellissima la conchiglia, ma la sostanza? Con questi interrogativi, che rimanevano irrisolti, passavo avanti. Eppure avevo voglia di saperne di più... Mi sono informata e alla fine ho scoperto che sono ricchissime di sali minerali e che per portare in tavola un antipasto o un aperitivo rapido ma d'effetto, la capasanta, anche nota come pettine di mare o conchiglia di San Giacomo, è l'ideale! 
Ci sono tantissimi modi diversi per prepararle, addirittura fonti antichissime, come i filosofi greci Senocrate e Aristotele, ne consigliavano il consumo cucinandole alla griglia e cospargendone il frutto con dell'aceto. Proverò.
Nel frattempo condivido con voi il mio primo esperimento, riuscito, con questi bellissimi doni del mare.

Ingredienti: 
  • 1 max 2 capesante a testa 
  • panatura senza uovo alla curcuma*
  • pesto alla genovese**
  • olio extra vergine d'oliva
*io ho utilizzato una panatura già pronta, ma se preferite potete tritare del pane preferibilmente di grano duro, sia la mollica sia un po' di crosta, aggiungere un po' d'olio e un po' di curcuma.
**io ho utilizzato un ottimo pesto ligure confezionato. L'ideale, se avete tempo e voglia, sarebbe prepararlo fresco in casa. La preparazione è veloce, ma bisogna avere la materia prima giusta! Io purtroppo non avevo tutto l'occorrente.
Ingredienti per il pesto alla genovese (da ricetta del Consorzio del pesto genovese):
  • Foglie di basilico asciutte: 25 g
  • Parmigiano Reggiano DOP da grattugiare: 35 g
  • Pinoli: 8 g
  • Sale grosso: un pizzico
  • Olio extra vergine d'oliva: 50 ml
  • Pecorino da grattugiare: 15 g
  • Aglio: 1/2 spicchio
  • 1 mortaio e 1 pestello
​
Preparazione: 
La prima cosa da fare è scegliere le capesante più belle e carnose. La seconda, importantissima, è lavarle con molta cura in modo da eliminare residui di sabbia che spesso sono presenti nella conchiglia e sotto al mollusco. Se necessario, staccate il mollusco dalla conchiglia, eliminate con delicatezza la frangia color nocciola e lavate sotto l’acqua corrente il muscolo bianco, detto "noce", e la parte arancione, ovvero il "corallo". Asciugateli con carta assorbente e riponeteli nelle loro conchiglie. 

Per il ripieno, io ho utilizzato una panatura alla curcuma senza uovo alla quale ho aggiunto del pesto alla genovese. Non ho aggiunto sale essendo il pesto già saporito di suo.
Dopo aver mischiato con cura la panatura e il pesto, fino ad ottenere un composto di colore omogeneo, ho riempito le capesante ponendo il ripieno sia sotto al mollusco sia sopra, fino a nasconderlo del tutto. 

Per la cottura: mettete le capesante su una teglia con della carta forno e aggiungete un filo d'olio. Infornate in forno ventilato preriscaldato a 190° per 15 minuti.  

Presto fatto! Ideali anche per i pranzi e le cene in famiglia durante le festività natalizie ormai prossime.

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STELLINE AL MIELE CON GOCCE DI CIOCCOLATO, IL GUSTO DELLA SEMPLICITA'

19/10/2019

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FotoBiscotti con miele e gocce di cioccolato
19 ottobre, si dà il caso che oggi si festeggi Santa Laura, ovvero il mio onomastico. : )
A Milano il cielo è grigio e cade qualche goccia di pioggia, cosa c'è di meglio quindi che godersi un po' l'intimità della propria cucina preparando dei biscotti?
La ricetta è, come nel nostro stile, molto semplice e veloce, ma il risultato è garantito!
La ricetta è di nostra zia, zia Patty, un vero portento nel preparare dolci.
Come vedrete leggendo la breve lista degli ingredienti, però, ho messo la mia firma anche qui. : )

Ingredienti
2 uova intere
100 g di olio d'oliva
300 g di farina e lievito (v. Fig. 1)*
150 g di miele
...gocce di cioccolato a volontà!!!
Assicuratevi poi di avere in casa della carta forno e una formina per tagliare i biscotti. Io adoro le stelle e ho utilizzato lo stampo che mi ha regalato mia madre, ma ci si può sbizzarrire! Largo alla fantasia! Visto che si avvicina Halloween, potreste provare a cercare degli stampi a tema. Le stelle ovviamente saranno perfette per Natale! 


*io ho utilizzato una farina già miscelata con il lievito, in alternativa potete utilizzare farina semplice di tipo 0 e aggiungere 1/2 cucchiaino di lievito.

Preparazione
Prendete una ciotola bella capiente che vi consenta di impastare comodamente e mettete dentro la farina, le due uova e i primi 50 g di olio. 
Cominciate a lavorare l'impasto. 
Aggiungete poi gli altri 50 g di olio e il miele. 

L'impasto potrebbe risultare un po' appiccicoso, ma niente panico! Aiutatevi con della farina aggiuntiva per pulire le mani eventualmente "incollate" e per fare in modo che l'impasto risulti bello morbido e lucido ma non appiccicoso. 

Ultime, ma non meno importanti... aggiungete le gocce di cioccolato! 

Adagiate l'impasto ottenuto, che risulterà come in Fig. 2, sulla carta forno.
Come in Fig. 3, mettete un altro foglio di carta forno sopra all'impasto e stendetelo con il mattarello. 
Lo spessore che ho raggiunto io è quello che vedete in Fig. 4. 
A questo punto prendete il vostro stampino e cominciate a dare forma ai vostri biscotti! (Fig. 5)
Adesso siete pronti per infornare!
Cottura: in forno già caldo a 180° per 15 minuti. 
​
Et voilà! : ) Ovviamente grazie a zia Patty per la ricetta. : )

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PANCAFFECIOK, LA RICETTA DEL NOSTRO DOLCE A BASE DI CAFFè E GOCCE DI CIOCCOLATO

5/10/2019

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FotoPancaffeciok, a base di caffè e gocce di cioccolato
Oggi mi è venuta voglia di preparare qualcosa di buono, qualcosa che potesse essere perfetto per la colazione, per la merenda o per saziare quella piccola voglia di dolce che ci coglie spesso dopo cena.
Ed ecco che mi sono messa all'opera per la prima volta con l'ultima ricetta consigliatami da mia zia Silvia.
Per chi, come me, ama il caffè e il cioccolato è assolutamente perfetta!
E' una ricetta che richiede pochissimo impegno, sia in termini di tempo sia in termini di applicazione, e il risultato è molto molto gradevole.
Altrettanto gradevole è prepararla! Tra una goccia di cioccolato e l'altra e l'aroma del caffè che invade la cucina... che delizia!

L'abbiamo appena assaggiata e abbiamo deciso di consigliarvela.
Ecco a voi come si fa. Buon week-end!

La ricetta del Pancaffèciok
  • 300 g di farina (io avevo in casa la 00 e ho utilizzato quella)
  • 50 ml di olio di semi (io avevo quello di arachide, ma va bene anche girasole per esempio)
  • 300 ml di caffè tiepido
  • 100 g di zucchero
  • 1 bustina di lievito
  • gocce di cioccolato a volontà!
Unire il caffè, lo zucchero e l'olio e lavorarli con uno sbattitore. 
A pioggia, aggiungere anche la farina e il lievito e amalgamare bene il composto. 
Aggiungere gocce di cioccolato a piacere, io sono stata molto generosa e vi consiglio di fare altrettanto anche voi. 
Mescolate bene il tutto e mettete il composto ottenuto in una teglia antiaderente unta con un pochino di olio (o rivestita con della carta forno).
Per la cottura: forno statico preriscaldato a 190° per 25 minuti circa. 
Prima di rimuoverlo dalla teglia, lasciate che si raffreddi un pochino per evitare che si rompa. 

Foto
Ingredienti per la preparazione del Pancaffèciok
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Dawali, il ristorante libanese a milano

21/9/2019

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FotoAssortimento di mezzeh caldi e freddi
Voglia di sapori etnici, piatti profumati e atmosfere calde e accoglienti? A Milano c'è un posto che fa proprio al caso vostro, si chiama Dawali, ristorante libanese autentico tra i più buoni della città.

Abbiamo provato questo ristorante per la prima volta un paio di mesi fa e abbiamo subito deciso di tornarci. Questo potrebbe bastare a farvi capire in pochi secondi che ci è davvero piaciuto, ma vogliamo darvi un'idea più precisa di ciò che abbiamo trovato da Dawali.

La professionalità, la cordialità e i sorrisi delle persone che ci lavorano, quasi tutti libanesi, sono i primi tre aspetti che ci teniamo a sottolineare. Poi, ovviamente, c'è la qualità dei piatti proposti e la tavola che, dopo l'ordinazione, si trasformerà in breve tempo in una tavolozza ricca, quasi strabordante, di colori caldi e profumi invitanti.
Noi eravamo in quattro e, essendo la prima volta per tutti in un ristorante libanese, abbiamo optato per il menù degustazione, in modo da poterci fare un'idea complessiva e imparare a dare forme e colori ai nomi scritti sul menù. 
Ecco cosa prevede il Menù Dawali:
Assortimento di *mezzeh (selezione di antipasti per la maggior parte di consistenza cremosa) caldi e freddi:
Hummus (puré di ceci e salsa di sesamo), Labne bittum (formaggio, menta e aglio), Muthabbal (puré di melanzane e salsa di sesamo), Chanklish (formaggio, verdura mista e timo), Warak Inab (involtini in foglie di vite, riso, cipolla e pomodoro), Harra (peperoni in umido con pomodori, cipolla e salsa piccante), Salsa “Tajin” (salsa di sesamo, cipolla, coriandolo, limone), Loubie bi Zeit (fagiolini, pomodoro e cannella), Moussaka (melanzane, ceci, pomodori, cipolla cotta al forno), Fatteh bil lahme e due varietà di involtini fritti.
Fattush (insalata mista con pane libanese croccante)
Piatto di carne: Tawouk e Kafta (2 spiedini a persona) accompagnati da riso bianco
Caffè (a scelta: espresso classico, caffè bianco, caffè libanese) 
Consiglio piatti extra: Aggiungete al menù degustazione una porzione di Falafel!
Consiglio per i dolci (che, ci tengo a sottolinearlo, meritano attenzione): se siete in quattro, come nel nostro caso, sceglietene al massimo due e poi dividete. Le porzioni sono abbondanti e i sapori decisi, un dolce a testa rischia di essere davvero troppo. 
Consiglio per il caffè: per una sera abbandonate il classico espresso e optate per un caffè libanese, servito in maniera deliziosa, è sicuramente troppo lungo per gli standard italiani, ma ha una nota piacevolissima di cardamomo che lo rende unico.
​Per il menù degustazione bisogna essere minimo 2 persone e la spesa è di 25,00 € a testa, bevande escluse. Per rimanere in tema, suggerisco vino o birra libanesi, ma non mancano vini italiani e birre classiche.  Vegani e vegetariani troveranno due menù degustazione ad hoc (20,00 €).
Se vi piace la danza del ventre, prenotate un tavolo per il sabato sera! (in ogni caso, prenotate!)

Orari:
Lunedì- Venerdì:
12.00 – 14.30
19.00 – 23.00
Sabato:
19.00 – 23.00
Chiuso la domenica
Di seguito i contatti: 02 84895668 ; info@dawali.it 

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Biscotto di san pellegrino: il dolce tipico bergamasco della storica pasticceria bigio

14/9/2019

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FotoSelezione di biscotti di Bigio, tra cui i tipici Biscotti di San Pellegrino
Sapete qual è il dolce tipico di San Pellegrino Terme, in provincia di Bergamo? Il biscotto di San Pellegrino della Pasticceria Bigio. Storia, curiosità e ricetta.
Dopo un weekend trascorso a San Pellegrino Terme, località davvero incantevole sia dal punto di vista naturalistico sia per quanto riguarda i servizi offerti, non potevamo non parlare di una vera chicca gastronomica del posto. Dolciaria, nello specifico. Un biscotto dalla lunga storia, che rappresenta uno dei dolci più caratteristici del territorio lombardo. Si chiama Biscotto di San Pellegrino, legato indissolubilmente alla storia della Pasticceria Bigio. 

Storia del Biscotto di San Pellegrino (di Bigio)
L'invenzione del Biscotto tipico di San Pellegrino si deve a Luigi "Bigio" Giacomo Milesi. E fin dal 1934 se ne continua la produzione con la stessa originaria ricetta, con una precisa procedura artigianale, nel medesimo luogo. 
Luigi Milesi, trasferitosi a San Pellegrino nei primi anni del Novecento, apre il primo laboratorio in Piazza Marconi e dà il via alla produzione dei biscotti. Negli anni Cinquanta i suoi prodotti iniziano a diffondersi in tutta la provincia e, con entusiasmo e determinazione, decide di depositare il brevetto del suo biscotto più apprezzato, registrato con il nome di Biscotto di San Pellegrino. La pasticceria continua ad espandersi e si trasferisce sulla centralissima via Papa Giovanni. Nel 1970, il figlio Beppi dà un ulteriore impulso all'attività paterna acquistando l’albergo, oggi Hotel Bigio, unendo dunque le attività alberghiera e di ristorazione. La storica pasticceria è attualmente gestita con successo dai tre nipoti Roberta, Teresa e Luigi.

Com'è fatto il Biscotto di San Pellegrino?
Il Biscotto di San Pellegrino è un frollino dal colore delicatamente dorato, molto profumato e aromatico, intenso al palato. Si tratta di un biscotto quotidiano, ideale per le famiglie. Luigi Milesi, infatti, usava offrirlo ai bimbi che assistevano insieme ai propri genitori agli spettacoli di burattini (quasi sempre a opera sua) che si svolgevano nella sua pasticceria. Era infatti un grande appassionato del teatro dei burattini, tanto da appendere la sua vasta collezione (ancora oggi visibile nella pasticceria) alle pareti del locale. La forma del biscotto ricorda tanto il famigerato "smile", ovvero una bocca sorridente, ma anche una mezza luna. Gli ingredienti dei quali si compone risultano chiaramente esposti sull'etichetta e sono: farina 00, burro, uova, zucchero, un pizzico di sale e un po’ di latte (tutto rigorosamente del territorio). Una semplice idea di pasta frolla, insomma. Come per ogni dolce di successo, però, il segreto non manca e viene gelosamente custodito tra le mura familiari. A Bigio si deve infatti l'ideazione di un metodo di lavorazione innovativo, che si differenzia dalla preparazione classica.

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